IL DISTURBO DIPENDENTE DI PERSONALITA’

Lei non può farne a meno, pur disprezzandosi in fondo al suo cuore per essere sempre così remissiva, pronta al perdono, alla comprensione anche quando da capire non c’è proprio niente se non un logorante abuso del suo affetto e del suo amore per lui. Ha paura di perderlo, anzi, è terrorizzata dall’idea che lui possa andarsene, scegliere un’altra. Magari più bella o più giovane… Non riesce nemmeno a pensarci. L’eventualità di una separazione non è nemmeno contemplabile. Meglio essere schiava che sola. No, non può farne a meno: deve sempre assecondarlo, offrirgli tutto ciò che ha, non può rischiare di perderlo. È l’unico modo che conosce per allontanare lo spettro dell’abbandono, del rifiuto. Che ne sarebbe di lei se lui se ne andasse? Lei ha bisogno che la sua relazione duri ed è pronta a tutto pur di salvaguardarlaperché è tutta la sua vita, fuori non c’è altro e dentro non è rimasto più nulla

Nella scena più sopra descritta si parla di “bisogno”, ma il “bisogno” della protagonista non prende in considerazione le sue reali necessità e i suoi desideri più profondi, che forse finisce per non sentire più nemmeno chiaramente, bensì si riferisce a un bisogno di vicinanza, di simbiosi, quasi, con il partner, che non trova mai appagamento, ma che è sempre dolorosa ricerca di qualcosa che non sarà mai possibile ottenere. Si può parlare di disturbo dipendente della personalità quando l’individuo si sente, inoltre, costantemente inadeguato, possiede una scarsa autostima e mostra mancanza di iniziativa e progettualità (Sims, 2009). Il partner è l’unica figura in grado di far provare all’altro un certolivello di fiducia in stesso, di autostima e di coesione interiore, ma è il terrore della separazione e del rifiuto che domina il rapporto, di fatto, mettendo tutto il “potere” all’interno della coppia nelle mani di uno solo, il polo “forte” (Borgioni, 2013). Anche secondo Sims (2009) i dipendenti affettivi ricercano la guida di “compagni dominanti”, delegando a loro scelte, scopi e cambiamenti, anche importanti. Tutta la felicità della persona che soffre di dipendenza affettiva dipende, dunque, in maniera totale dal partner, ma poiché il dipendente affettivo è sempre alla ricerca di rassicurazione e conferme, si vota all’infelicità: ogni rassicurazione, infatti, non è abbastanza, non è definitiva o risolutiva. La paura dell’abbandono è sempre dietro l’angolo, in agguato, pervasiva e ossessionante, così come il dubbio e il sospetto che il partner desideri allontanarsi, sganciarsi dal rapporto. Secondo Borgioni (2013), paradossalmente i dipendenti affettivi finiscono invischiati in relazioni complesse, se non francamente tossiche, con persone poco inclini a mostrare affetto e a offrire sostegno e appoggio. Di fatto, delegano la responsabilità della propria felicità, della realizzazione della propria esistenza (Sims, 2009) a partner spesso narcisisti o comunque manipolatori, in grado di approfittarsi di quanto il dipendente affettivo è capace di offrire, al contempo restituendo in cambio sempre meno, lasciando quindi il partner insoddisfatto ma sempre più dipendente e in cerca di rassicurazioni che non gli basteranno. Questo avverrebbe perché, seguendo Borgioni (2013), il dipendente affettivo, non considerandosi meritevole di attenzioni, cura e affetto, non accoglie volentieri le manifestazioni affettuose, vivendole invece come subdole e insincere e andando così a ricercare rapporti amorosi con persone affette da altre problematiche relazionali, speculari alla propria. Si innesca, in questo modo, un circolo vizioso che vede il dipendente affettivo sempre più dipendente e sempre più aggrappato al proprio partner che, di contro, ha sempre più potere nella relazione e dona sempre meno rassicurazioni e affetto, vivendo “… il desiderio di vicinanza e di contatto dell’altro come un’invasione, un’intrusione fastidiosa e pesante, una seccatura o una minaccia.” (Borgioni, 2013, p. 13). Il comportamento sottomesso del dipendente affettivo, la sua accettazione incondizionata dei desideri e degli obiettivi del proprio partner anche a scapito dei propri bisogni, mette il partner in condizione di avere il totale controllo della relazione e di focalizzare su di sé tutta l’attenzione.

Quando il rapporto s’interrompe, la forte crisi che l’interruzione del legame genera può essere la spinta per il dipendente affettivo ad intraprendere un percorso psicoterapico che lo porti all’accettazione del proprio passato e del proprio presente, nell’ottica di riuscire in seguito ad instaurare rapporti affettivi più gratificanti ed equilibrati. La terapia sistemicofamiliare può offrire un valido aiuto nei casi di dipendenza affettiva, poiché le origini del disturbo sono da ricercare nelle dinamiche familiari e nei modelli di attaccamento. La terapia sistemico – familiare facilita e favorisce nel dipendente affettivo la consapevolezza dei propri bisogni e dei propri desideri più autentici, aiutando il paziente a riportare l’attenzione su di sé e sulle proprie emozioni e sentimenti, a tornare protagonista della propria esistenza.

Riferimenti bibliografici:

Borgioni, M. (2013). Dipendenza e controdipendenza affettiva: dalle passioni scriteriate all’indifferenza vuota. Roma: Alpes.

Calcinai, B. & Savelli, L. (2021). Pensieri Quasi Quotidiani di una Psicologa sulla Famiglia.  Wondermark (reperibile su Amazon, IBS e La Feltrinelli).

Sims., A. (2009). Introduzione alla psicologia descrittiva. Milano: Raffello Cortina Editore (edizione aggiornata da Femi Oyebode).

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