Prendersi cura di sé

… Nonostante tutte le attenzioni ricevute dalla sua famiglia, che non si sarebbe mai sognata di negare, aveva cominciato a sentirsi “diversa” nel momento stesso in cui aveva ricevuto quella diagnosi di una malattia cronica che mai avrebbe immaginato di dover ricevere. C’erano cose che non poteva fare, una dieta specifica da seguire, medicinali da assumere, visite mediche e controlli a cui sottoporsi regolarmente. Sapeva bene che tutto questo andava a tutelare la sua salute, eppure, questa sottile “differenza” la rendeva insofferente, irritata, invidiosa di quelli “sani” che non avevano un pensiero al mondo.

… L’incidente che aveva stravolto la sua esistenza era come uno spartiacque tra ciò che era stato prima e ciò che era diventato poi. Il punto era proprio questo: cosa avrebbe potuto fare e diventare adesso che tutto era cambiato? Non aveva nessuna intenzione di farsi travolgere dalla sofferenza e dall’angoscia, voleva ritrovare sé stesso a un livello diverso, riscoprirsi forte e capace, pieno di sogni da realizzare e potenzialità da mettere a frutto. 

… Aveva scoperto risorse che non credeva di possedere quando era nato il suo secondo figlio diversamente abile. Aveva dovuto occuparsi di mille cose, imparare a trattare con le istituzioni, rivoluzionare la vita familiare e la casa; aveva dovuto rivedere priorità e impegni, cercando di non lasciare indietro niente e nessuno. Ma lei, dov’era finita lei?

Quando siamo giovani e in salute la vita può apparire come un film a lieto fine in cui tutto s’incastra alla perfezione: amore, famiglia, studio, lavoro… tutto sembra perfetto e alla nostra portata; sembra non esserci alcun limite a ciò che possiamo raggiungere se ci impegniamo con costanza. Qualche volta, però, la vita pone delle sfide apparentemente insormontabili: una malattia cronica (nostra o di un nostro familiare), un grave incidente, la nascita di un figlio con disabilità, la malattia degenerativa di un genitore anziano sono soltanto alcuni esempi di eventi perturbanti che ci possono coinvolgere nostro malgrado.

Che cosa succede? Incredulità, confusione, rabbia, invidia, paura, sofferenza, angoscia… un turmoil emotivo può travolgerci e rischiare di soffocarci, destabilizzando fortemente il nostro equilibrio psicofisico. La voglia di combattere si mescola alla spinta ad arrendersi, l’ambiente stesso diventa in qualche modo “estraneo”: le barriere architettoniche mai notate, la necessità di ristrutturare/cambiare casa, il rischio della solitudine e dell’isolamento, le difficoltà nel cercare di instaurare un buon rapporto con gli operatori sanitari, gli iter amministrativi e burocratici… tante sono le difficoltà, gli “ostacoli” da superare nella ricerca di un’esistenza “normale”. Se la rabbia, l’invidia e la non accettazione di quanto è stato prendono il sopravvento si rischia di rimanere congelati nel “momento fatale”, si rischia di azzerare il tempo e la propria evoluzione, in una sorta di perpetuo rimuginare su quanto occorso. Aprirsi agli altri, alla vita, ma soprattutto al cambiamento può apparire difficile, forse anche impossibile: cosa si può fare ancora? Chi possiamo essere? 

Per il caregiver di una persona diversamente abile o gravemente ammalata, la sensazione di “non riuscire a farcela” può crescere a dismisura e diventare minacciosa. Il burden psicoemotivo, in aggiunta alla fatica fisica quotidiana, può farsi intollerabile. Chi ci permettiamo di essere? A quali desideri e bisogni possiamo ancora rispondere?

Il cambiamento, la riscoperta di risorse, potenzialità e capacità (anche insospettate) parte dall’accettazione dell’evento (incidente, patologia, disabilità, lutto ecc.), che può essere difficile da raggiungere senza un supporto. Prendersi cura di sé, della propria esistenza ferita nel profondo parte dalla ricerca della propria accettazione di ciò che si è, con tutte le “differenze” che questo comporta. Chiedere un supporto, un sostegno, lungo il cammino per la riappropriazione della propria identità con la sua unicità e il suo universo di possibilità, è il primo, grande passo verso la cicatrizzazione della “ferita” che ci portiamo dietro. Valorizzarsi, amarsi e rispettarsi abbastanza da cercare di soddisfare i propri bisogni e i propri desideri, aprono poi la strada alla riconciliazione con “l’altro”.

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