Se lasciarsi è complicato…
… Gli anni della sua relazione con Lucia gli erano sembrati prima un sogno avverato, poi un incubo dal quale non riusciva e risvegliarsi, infine, qualcosa da cui non sarebbe mai riuscito a liberarsi definitivamente. C’erano stati momenti bellissimi, tra loro, viaggi romantici e avventurosi, complicità e sostegno; poi c’erano stati litigi furiosi, feroci incomprensioni, fughe, minacce di abbandono, lacrime e tante, troppe recriminazioni. Era stato lui a decidere che era venuto il momento di lasciarsi: ne avevano parlato, qualche volta con calma e altre volte urlando… avevano convenuto entrambi che sarebbe stato meglio per entrambi se si fossero lasciati e ognuno avesse riacquistato la libertà di ricominciare daccapo, con un nuovo partner. Peccato che lasciarsi non fosse affatto semplice. Peccato che lui non poteva né vivere con lei, né vivere senza di lei. Ecco l’assurdo, l’impasse lacerante: gli sembrava che in nessun caso ci fosse un futuro.
Le storie d’amore nascono, crescono e qualche volta muoiono, finiscono. Le motivazioni esplicite e di cui i partner hanno consapevolezza per la fine della relazione possono essere le più svariate: tradimenti da una o da entrambe le parti; disaccordo sul mettere al mondo o meno un figlio; innamoramento di un’altra persona; incompatibilità caratteriali; forti ingerenze delle famiglie di origine ecc. Alcune storie finiscono “bene”, trovano una conclusione che in qualche modo “soddisfa” entrambi gli ex partner; altre finiscono “male”, uno dei due in questi casi soffre molto più dell’altro, fatica a lungo a trovare un senso a quanto accaduto e ha bisogno di molto tempo per riprendersi dalla rottura della coppia. Infine, esistono delle storie che, per quanto portatrici di incomprensioni e grande sofferenza sembrano non potersi concludere, in cui entrambi i membri della coppia si ritrovano, loro malgrado, a non sapersi risolvere a dare un taglio netto e definitivo alla relazione. “Né con te, né senza di te”, sembra essere il motto di queste convivenze o matrimoni che si protraggono nel tempo, si trascinano disperatamente avanti per l’infelicità di entrambi i membri della coppia. La crisi non si risolve né in un modo né nell’altro e trascina i due partner in un inferno di accuse, recriminazioni, rimpianti e minacce che provocano molta sofferenza. Ciò che accade è che la coppia è consapevole soltanto delle motivazioni “superficiali” che hanno portato alla rottura dell’armonia, della concordia e dell’equilibrio: “Tu mi tradisci”; “Tu sei troppo geloso/gelosa”; “Non mi supporti nei miei progetti”; “Presti attenzione e cure soltanto a nostro figlio/figlia”; “Ti occupi soltanto dei tuoi genitori anziani”; “T’interessa più il tuo lavoro della nostra relazione” ecc. e si manifesta un’incessante ricerca di ragioni per le quali la rottura del rapporto è tutta colpa dell’altro, che non è “abbastanza” (abbastanza attento, abbastanza premuroso, sollecito, confortante ecc.), fino ad arrivare a: “Non sei (o non sei più) la persona di cui mi sono innamorato/innamorata”. Ma il problema, il nodo che tiene avvinte queste coppie infelici anche quando vorrebbero separarsi sta nel legame che unisce i due partner, un “legame disperante” (Cigoli et al., 1996), un legame, quindi, che non si riesce a spezzare davvero, pena un’insopportabile angoscia, ma che non è più in grado di rendere felici coloro che continua a tenere avvinti. Per questo la “colpa” di tutto è sempre dell’altro e l’amore un tempo provato può trasformarsi in un risentimento così intenso che può avvicinarsi all’odio.
Amore, risentimento o odio, sempre di un’emozione molto forte si tratta, in grado di tenere in piedi un legame molto stretto, per quanto altamente disfunzionale, che finisce per dominare su tutte le altre relazioni dell’individuo e offuscare eventuali altri legami affettivi, che, invece, potrebbero rimpiazzarlo. Questo “legame disperante” di cui parlano Cigoli e colleghi, è sostenuto dalla speranza inconsapevole che le cose possano cambiare all’improvviso e tutto torni magicamente a posto. È proprio questa speranza irrealizzabile che alimenta il circolo vizioso del risentimento e non permette ai due membri della coppia di elaborare il dolore della definitiva separazione, cosa che è necessaria affinché ciascuno dei due si liberi, infine, di un legame che non è più funzionale per poter riprendere a progettare la propria vita e aprirsi al nuovo. Il “legame disperante”, quando la coppia ha figli piccoli e procede con la separazione, può condurre a uno scontro in tribunale, a una lotta senza esclusione di colpi per l’affidamento della prole, scaricando sull’ex coniuge tutta la colpa per il naufragio del matrimonio. È piuttosto evidente da quanto detto che, inconsciamente, per queste coppie un legame fatto di acrimonia e conflitti è comunque meno angosciante di una rottura definitiva; tuttavia, il “legame disperante” non soltanto non permette un allontanamento psicologico dei due partner, ma frena anche la spinta evolutiva individuale, “congelando” uno status quo disadattivo che produce e alimenta dolore e sofferenza.
Un percorso psicoterapico è indicato in tutti i casi in cui ci rendiamo conto che non ci è possibile chiudere una storia che è già finita.
Riferimento bibliografico:
Cigoli, Galimberti, C. & Mombelli, M. (1996), Il legame disperante, Milano: Raffaello Cortina Editore.
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