Effetti benefici della “Solitude”
Una figura in lontananza (non si capisce se uomo o donna, giovane o anziano), la testa bassa, le spalle incurvate, le mani nelle tasche del soprabito, cammina nell’atmosfera nebbiosa, resa rossastra dalla luce dei lampioni… Non c’è nessun altro per strada. Il silenzio screziato soltanto dal suono dei passi ritmici sull’asfalto. Una figura solitaria che cammina nella notte fredda e ventosa. La sua solitudine si avverte, si percepisce, sembra un manto che avvolge… È una scelta o un’imposizione?
Siamo abituati a pensare alla solitudine come a un qualcosa di tendenzialmente negativo: il termine stesso evoca l’idea di uno stato d’animo depresso, di una sorta di isolamento sociale, volontario o imposto (per esempio, dovuto a un’incarcerazione), di un individuo non a suo agio nel consorzio sociale o comunque tenuto a distanza dalla comunità. La parola “solitudine” è uno spettro che fa sembrare strane e infelici le persone con un carattere maggiormente introverso e incline al silenzio e alla riflessione. Come fa notare acutamente Farneti (2020), però, il termine “solitudine” non ha un significato univoco, ma ha almeno due accezioni, che sono più facilmente comprensibili se si analizzano i termini inglesi: solitude e loneliness. Mentre, infatti, loneliness ha il significato di un “essere soli” che provoca disagio e sofferenza nell’individuo, la solitude è, invece, un’esperienza di benessere che l’individuo prova quando trascorre del tempo in compagnia di sé stesso e dei propri pensieri. Da notare che non occorre essere fisicamente separati dagli altri per provare un senso di loneliness o di solitude. Seguendo ancora Farneti (2020) nel suo ragionamento, l’esperienza della solitude è piacevole perché connette l’individuo con la sua parte introspettiva e creativa; è, quindi, un’esperienza di ascolto, di apertura verso la propria interiorità intessuta di pensieri, idee, ricordi ed emozioni. Difficile al giorno d’oggi, attuare realmente una scelta di ricerca attiva perritagliarsi nell’arco della giornata del tempo soltanto per sé stessi e per la propria interiorità, iper-connessi come siamo e orientati alla maggior efficienza ottenibile nel minor tempo possibile. E tuttavia la solitude è necessaria per migliorare la concentrazione e recuperare dallo stress quotidiano dovuto al bombardamento di informazioni che subiamo dall’ambiente, reale o virtuale che sia (Nance & Mays, 2013). Non c’è tempo per trovare il tempo di stare da soli. A questo tema Farneti (2020) lega quello sul “valore terapeutico del silenzio” perché la nostra è, indubbiamente, una società rumorosa e non soltanto a livello acustico. Agli alti livelli di stress sonoro (rumore dovuto all’incessante via vai delle auto nelle strade trafficate, colpi di clacson, musica a tutto volume nei negozi e nei centri commerciali, squilli dei cellulari ecc.), dobbiamo aggiungere tutto il rumore visivo a cui siamo soggetti: cartellonistica colorata, insegne luminose o intermittenti, schermi che proiettano immagini pubblicitarie, display di ogni tipo e molto altro. La nostra attenzione è costantemente catturata e sviata dagli stimoli ambientali, così attraenti e così difficilmente ignorabili che ci rendono osservatori superficiali di tutto e di niente, incapaci di sostare per più di pochi minuti su qualsiasi cosa. Ma “Il distacco dalle interferenze e il silenzio […] non sono solo da intendere in termini di assenza di stimoli, ma come strategia preziosa per rigenerare il nostro corpo e la nostra mente e prepararci a nuovi impegni, confronti e fatiche.” (Farneti, 2020, p. 27).Paradossalmente, quindi, sono il silenzio e la solitudine intesa come momento introspettivo a donarci le risorse per affrontare in maniera adeguata i nostri molti impegni lavorativi, di studio e familiari… eppure spesso ne prendiamo atto ma non troviamo il tempo di rallentare, presi come siamo dalla spirale della velocità irriflessiva. Il silenzio e la solitudine, quindi, hanno un valore terapeutico: ci restituiscono a noi stessi, alla nostra autenticità, permettendoci di individuare ed eliminare tutte quelle “interferenze” che si sono accumulate ma che non fanno parte di noi e del nostro sentire. Le pause riflessive sono necessarie anche nell’ambito della creazione artistica che, se autentica e non mero prodotto commerciale di facile consumo, non può che scaturire dalla nostra più profonda unicità. Silenzio e solitudine possono anche riavvicinarci alla natura e ai suoi colori e suoni: una passeggiata in un bosco o per i campi, in assenza dell’incessante brusio di conversazioni e di rumori, può essere rigenerante per il fisico e lo spirito, connettendoci con il cinguettio degli uccelli sugli alberi e con lo scrosciare dell’acqua di ruscelli o fontane.
La solitudine e il silenzio non sono sempre facilmente gestibili, soprattutto per l’individuo che ha disagio o difficoltà a stare con sé stesso e con i propri stati emotivi. In questi casi, è opportuno rivolgersi a un professionista; la terapia sistemico-familiare può rivelarsi un valido supporto anche per la riscoperta della propria unicità e autenticità: offre uno spazio di ascolto accogliente e non giudicante che facilita l’individuo a porsi in reale ascolto di se stesso.
Riferimenti bibliografici:
Farneti, P. (2020). La solitudine – scelta felice o doloroso destino?reperibile su Amazon.
Nance, W.Z. & Mays, M. (2013). “Exploring the role of time alone in modern culture”. Paper based on a program presented atthe American Counseling Association Conference. March 20-24. Ohaio: Cincinnati.
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