GIOCHI SINTONIZZATI

Il neonato osserva attentamente il buffo adulto che gli sta davanti e che di tanto in tanto tira fuori la lingua con grande serietà e lentezza. Qualche secondo più tardi, ecco che anche il piccolo tira fuori la propria lingua, prima in maniera appena accennata, poi con movimenti sempre più definiti e simili a quello del modello… Sembra quasi che voglia dire: «Ehi, ho capito cosa stai facendo! Anch’io ho una cosa uguale alla tua in bocca!»

Non sono soltanto i ricercatori nei loro asettici laboratori a fare esperienze del genere con i neonati, ma la maggior parte dei genitori di bambini con sviluppo tipico si diverte, fin dai primi giorni di vita, a fare le cosiddette “linguacce” al bebè, che vengono prontamente restituite, con grande divertimento e soddisfazione sia degli adulti che del bambino. Ma com’è possibile che un neonato di pochi giorni riesca a imitare un gesto complesso come quello della protrusione della lingua? Proviamo a guardare il bambino con gli occhi di Gopnik, Meltzoff e Kuhl (2000, p. 19): “… è […] la più potente macchina d’apprendimento dell’universo. Le dita e la bocca minuscole sono congegni esplorativi che perlustrano il mondo alieno circostante […] Le orecchie raggrinzite captano un brusio di suoni incomprensibili e lo trasformano in un linguaggio dotato di significato.” Non una tabula rasa che aspetta passivamente di essere riempita dall’esterno, dunque, ma un minuscolo essere senziente che già dalla sua venuta al mondo interagisce attivamente con quanti si prendono cura di lui e con il suo ambiente. I bambini, fin dalla primissima infanzia, sono inclini all’apprendimento, ma per imparare hanno bisogno di interagire proficuamente con gli adulti, in special modo con i loro caregiver, e, quando sono molto piccoli, lo fanno principalmente attraverso l’imitazione. Come abbiamo visto nella scena descritta più sopra, i neonati sono in grado di rispondere prontamente a una “linguaccia” con un’altra bella “linguaccia”; ciò è reso possibile dal fatto che possiedono la capacità innata di riconoscere che gli altri sono “come loro”, cosa che a sua volta gli permette di ingaggiare le prime interazioni significative con la figura materna. I neonati sono fin dalla nascita molto responsivi verso gli altri esseri umani, soprattutto verso la configurazione del volto, e l’imitazione è una sorta di gioco attraverso cui si sintonizzano con il comportamento degli altri significativi. C’è una forte reciprocità nei giochi che genitori e figli ingaggiano nella prima infanzia ed è formata da lunghe sequenze imitative in cui è presente un tipo d’interazione che Daniel N. Stern (1987) chiama “interaffettiva”. In queste lunghe sequenze di gioco, infatti, si fa strada qualcosa in più dell’imitazione pura e semplice di espressioni, gesti e vocalizzi: lo “scambio intersoggettivo degli affetti” (Stern, 1987). La madre, infatti, non imita pedissequamente i gesti del figlio, ma inserisce nella sequenza delle piccole modifiche, che pur non alterando la “corrispondenza” tra i suoi gesti e quelli del bambino, introducono una nota nuova che rende il figlio “… capace di leggere questa risposta materna e di rendersi conto che non si tratta solo dell’imitazione del suo comportamento ma che esiste qualche rapporto con la sua esperienza affettiva originaria.” (Stern, 1987, pp. 147 – 148). Il comportamento materno in queste sequenze di gioco viene chiamato da Stern sintonizzazione degli affetti, ed è fondamentale per il rispecchiamento degli stati d’animo del figlio, che è la base per lo sviluppo di un buon senso del Sé soggettivo. In sintesi, quello che la madre fa quando varia leggermente l’imitazione dei gesti del bambino è rimandargli non soltanto l’immagine dell’azione che ha eseguito, ma il tono affettivo con cui ha eseguito quell’azione, rispecchiando al contempo anche la propria comprensione del sentimento che il bambino provava durante quella specifica fase del gioco.  Seguendo ancora Stern, l’imitazione e la sintonizzazione degli affetti, quasi sempre inscindibili in queste sequenze ludiche, sono ciò che permette di veicolare precocemente l’apprendimento ma anche la comunicazione dei propri stati affettivi, nonché la partecipazione, cognitiva ed emozionale, alla sessione di gioco interattiva. Prima della comparsa del linguaggio la comunicazione bambino – adulto si svolge dunque su un raffinato piano ludico in cui la diade è immersa in una sorta di danza relazionale in cui entrambi i partner devono prestare profonda attenzione ai gesti, alle espressioni e ai suoni dell’altro. Anche secondo Meltzoff e Gopnik (2003) l’imitazione è ciò che permette la comprensione degli stati mentali dell’altro: essa è “… un meccanismo primitivo per la trasmissione interpersonale degli affetti dal genitore al figlio” (Meltzoff & Gopnik, 2003).

Per quanto riguarda i bambini con sviluppo atipico, le cose si fanno più complicate. Se i bambini affetti da sindrome di Down sembrano ottenere risultati simili a quelli dei bambini a sviluppo tipico nelle prove di imitazione (Meltzoff & Gopnik, 2003), i bambini affetti da autismo sembrano manifestare un disturbo nella sfera dell’imitazione, ma occorrono studi di imitazione neonatale, attualmente non disponibili, anche in questa popolazione (Meltzoff & Gopnik, 2003) per avere dati più attendibili.

Bibliografia di riferimento:

Gopnik, A., Meltzoff, A.N. & Kuhl, P.K. (2000). Tuo figlio è un genio – le straordinarie scoperte sulla mente infantile. Milano: Baldini & Castoldi.

Meltzoff, A.N. & Gopmik, A. (2003). Il ruolo dell’imitazione nella comprensione sociale e nello sviluppo di una teoria della mente, in: L. Camaioni (a cura di). La Teoria della Mente – origini, sviluppo e patologia. Roma – Bari: Editori Laterza.

Stern, D.N. (1987). Il mondo interpersonale del bambino. Torino: Bollati Boringhieri.

Foto di Евгения Давыдова da Pexels

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