La danza dell’appartenenza

… Quando le cose tra di loro andavano bene era come un ballo, una sorta di magica danza intuitiva che guidava i corpi verso i giusti movimenti e le menti verso una comprensione genuina e quasi senza sforzo. Ora s’intrecciavano, ora si scioglievano, ora si avvicinavano, ora si allontanavano, senza mai pestarsi i piedi o urtarsi malamente, in una coreografia di movimenti fluidi e armonici, ognuno lo specchio dell’altro. Naturalmente, le cose non andavano sempre così e allora la danza si trasformava in una specie di battaglia dal ritmo frenetico ma spezzato, disarmonico, ostile, sgraziato e sgradevole. S’insinuava il desiderio di prevalere, di sopraffare, di fagocitare….

Due rotaie che corrono parallele, due rette parallele che non s’intersecano mai, che non si possono incontrare, ma che perseverano nella loro corsa affiancata; oppure un armonioso, magico minuetto in cui tutti i passi sono giusti e la sintonia regna sovrana? C’è qualcosa di profondamente misterioso, quasi romantico, in tutto questo, eppure queste due metafore riescono a descrivere in maniera intuitiva l’andamento di ogni rapporto amoroso. Qual è la giusta distanza per sentirsi davvero intimi con qualcuno senza sentirsi invasi? Esiste l’armonia perfetta che tutto pervade?

È vero, esistono due poli: vicino/coinvolto e lontano/distaccato, ma dobbiamo sempre tener presente che l’unità di misura della distanza in realtà è mutevole, si adatta alle necessità e alle difficoltà delle persone: non esiste l’alchimia dell’armonia graniticamente perfetta, mai soggetta a cambiamento. Del resto, non avrebbe neanche senso perché è l’esistenza stessa a essere continuamente soggetta a piccoli e grandi cambiamenti. L’immobilità è propria soltanto della morte, che tutto azzera. Vicinanza e lontananza in senso relazionale sono termini flessibili e soggettivi, in continuo mutamento e adattamento (al contesto, alla persona, al tempo); ci si può sentire lontani miglia e miglia da tutti pur trovandoci in mezzo ad una folla; viceversa, ci si può sentire invasi, soffocati, in compagnia di una sola persona (che vuole prevaricarci o sopraffarci) o anche da soli, quando i nostri pensieri “non ci lasciano scampo” e si fanno intrusivi e ossessivi.

Il bisogno di contatto, tipico dell’intimità, dunque, è soggettivo e parla di noi, di quanta vicinanza o distanza dall’altro siamo in grado di sopportare e offrire, ma anche della nostra coppia, delle nostre dinamiche relazionali. Si tratta di distanza/vicinanza che è insieme fisica ed emotiva, e ha a che fare con la nostra capacità e disponibilità a farsi toccare dal nostro partner e a voler entrare in contatto; dove il lato emotivo, però, è più sfumato e non sempre coincide con quello fisico, ma, soprattutto, non ne siamo sempre consapevoli. Bisogna anche tener presente che la sessualità condivisa non va considerata come un sinonimo di intimità.  Entrare realmente in contatto intimo con l’altro, in una relazione, significa assumersi impegno e responsabilità, stare in equilibrio tra il proprio bisogno di autonomia e lo sbilanciamento verso l’altro, le sue richieste, i suoi bisogni e i suoi desideri; l’intimità, quindi, può spaventare chi vive le relazioni in maniera superficiale restando sempre sulla difensiva. 

Non è facile danzare al ritmo dell’intimità, soprattutto quando ancora non ci si conosce a fondo: l’attrazione e la voglia di fondersi in qualcosa di unico, molto forti all’inizio di una storia romantica, non possono trasformarsi in una vera intimità di coppia senza la ricerca di un delicato equilibrio in continua evoluzione tra “io” e “tu”.

La giusta distanza, soggettiva e personale, è davvero allora come una danza in cui i due partner bilanciano armoniosamente i propri movimenti, calibrandoli sulle proprie capacità ma anche su quelle dell’altro, creando così qualcosa di unico, magico e nutriente. Come nella danza, non ci può essere una vicinanza troppo soffocante ma neanche una distanza che raffredda. La giusta distanza è perciò fatta di presenza e contatto, che passa anche dagli occhi, attraverso lo sguardo. Uno sguardo d’amore è quello che accoglie l’altro perché ha già accolto sé stesso e, dunque, può protendersi verso l’altro da sé.

Ciò che rende possibile trovare la giusta distanza è, quindi, la nostra capacità di leggere le emozioni dell’altro attraverso l’empatia, cognitiva ed emotiva insieme, che ci permette la sintonizzazione sullo stato d’animo e su ciò che prova il nostro partner. Senza impegno e desiderio di “essere con l’altro” pur rimanendo sé stessi, sul lungo periodo, la relazione è destinata a fallire, perché non in grado di nutrire i due membri della coppia.

Tramite l’associazione di promozione sociale Lo Schicco di Grano APS di cui sono Presidente organizzo a richiesta gruppi sulle dipendenze affettive basati sul metodo Dipendiamo®, ideato e insegnato dalla Dott.ssa Maria Chiara Gritti, in cui mi sono formata.

Per informazioni:

associazioneloschiccodigrano@gmail.com 

Riferimento bibliografico:

Calcinai, B. & Savelli, L., (2024). Quando l’amore non basta. Le relazioni tra danno e cura. Roma: Alpes Italia.

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