La relazione terapeutica
Che tipo di rapporto è quello che si instaura tra un terapeuta e il suo paziente nella stanza della terapia? Da cosa deriva la sua efficacia? La relazione terapeutica è quello che viene chiamato il “fattore aspecifico” più importante per predire il successo del trattamento in essere. Una buona relazione tra psicoterapeuta e paziente condurrà ad una buona alleanza terapeutica, la quale si basa sulla fiducia che si viene instaurando tra i due attori e che è necessaria per ottenere un atteggiamento collaborativo da parte del paziente, inteso come soggetto attivo del cambiamento. Un buon terapeuta deve certamente possedere le imprescindibili competenze tecniche richieste dalla professione, ma non può mancare di quelle doti umane che facilitano e favoriscono il cambiamento, quali un atteggiamento empatico e un’elevata capacità di ascolto attivo. In questa professione, infatti, l’abilità tecnica da sola non è sufficiente. Ascoltare in maniera attiva significa facilitare nel paziente la comunicazione del proprio disagio, dei propri vissuti e delle proprie emozioni. Ascoltando attivamente, infatti, l’individuo si sente accolto senza giudizio, recepisce il genuino interesse, la curiosità del terapeuta per la sua storia ed è più incline all’apertura. Il buon terapeuta è anche un buon comunicatore, in grado di recepire e veicolare messaggi anche tramite tutto ciò che è non verbale o paraverbale. Il trattamento psicoterapeutico per poter “funzionare” ha bisogno di entrambi gli attori, che, collaborativamente, stabiliscono come obiettivo il benessere psicologico del paziente, da raggiungere nei tempi e nei modi più consoni all’individuo sofferente. Il terapeuta non deve mai essere giudicante nei confronti del paziente, ma deve riuscire a veicolare solidità e supporto lungo tutto il periodo del trattamento, come una guida. Il terapeuta diventa, quindi, per il suo paziente, un modello di adulto positivo che può contribuire a sciogliere i nodi del passato. Un buon terapeuta non valicherà, però, i limiti deontologici della relazione e sarà in grado di monitorare costantemente le proprie risonanze emotive; inoltre, non si sostituirà al paziente nelle decisioni da prendere o nelle scelte da fare, ma sarà costantemente al suo fianco e favorirà in lui una nuova e migliore consapevolezza di sé, che lo faciliterà nelle decisioni e nelle scelte.
E quando il terapeuta non si rapporta al singolo ma, ad esempio, a un intero nucleo familiare? Nella psicoterapia a indirizzo sistemico – familiare l’individuo che manifesta un sintomo viene sempre considerato insieme al suo sistema di riferimento (anche quando la terapia è individuale) e il nucleo di tutto l’intervento resta comunque la relazione che si instaura con il paziente, dove l’individuo portatore di sofferenza ha la possibilità di fare esperienza di modalità relazionali altre, diverse da quelle che ha conosciuto in seno alla famiglia d’origine e che sono in grado di facilitare e agevolare il cambiamento. L’intento di un intervento sistemico-familiare, infatti, è quello di facilitare la creazione di un’organizzazione più funzionale e più matura nei sistemi che ne hanno bisogno, quindi, dove si manifesta disagio o sofferenza psicologica in uno o più membri che fanno parte del sistema. La relazione terapeutica, perciò è sempre il motore del cambiamento, della trasformazione, del “riavviarsi” dell’evoluzione dell’individuo e del sistema di cui è parte, che prima dell’intervento si trovavano bloccati in un circolo vizioso apparentemente impossibile da spezzare. Il buon terapeuta è, quindi, colui che aiuta il paziente a osservare attentamente il fardello di pensieri, preoccupazioni e relazioni che si porta ogni giorno sulle spalle, rischiando di rimanere schiacciato da un peso immane: cosa c’è dentro quella ingombrante sacca? Non si sostituisce all’individuo scegliendo per lui, nell’intento di aiutarlo o di alleviare la sua sofferenza, ma gli insegna a guardare dentro sé stesso per capire cosa realmente merita di essere conservato con cura e di cosa invece è meglio liberarsi. Il terapeuta ha perciò un atteggiamento neutro verso quelli che sono i desideri del paziente: non giudica se essi siano buoni, ma aiuta il suo paziente ad acquisire una più profonda conoscenza di sé e di quello di cui realmente ha bisogno, mettendolo quindi nella condizione di fare scelte più consapevoli.
La relazione terapeutica “funziona” sempre? Lasciando da parte la questione degli eventuali errori commessi dal professionista, tra paziente e terapeuta deve scattare da subito una certa sintonia che poi si trasformerà in fiducia ed in alleanza terapeutica in vista di uno scopo condiviso. Tanto più profonde saranno le doti umane possedute dal terapeuta, unite alla sua competenza e al suo equilibrio, e maggiori saranno le probabilità che la relazione che si instaura con il paziente si dimostri efficace nella promozione del suo benessere psicologico.
Riferimenti bibliografici:
Calcinai, B. & Savelli, L. (2021). Pensieri Quasi Quotidiani di una Psicologa sulla Famiglia. Wondermark (reperibile su Amazon, IBS e La Feltrinelli).
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